Perché, alla fine, è in un abbraccio, in un respiro sottile, accanto al tuo, che si rompe, improvviso, il giogo della solitudine.
Senti, primitivo, il senso di questa esistenza, che, senza inganni, si fa dono e speranza.
Nell’abbraccio abbandoni tutto te stesso e, senza confini, accogli in te l’esultanza della vita.
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Trame preziose, che disegnano storie di gesti sapienti, ricami sottili di vite passate.
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In fondo al vialetto, una coppia avanza con passo lento e comodo. Le parole e i silenzi sono parte dello stesso dialogo, non si guardano, ma si avvertono. Il freddo di quella giornata invernale, non interrompe il loro abbraccio, i loro corpi stretti in morbidi e caldi vestiti esitano, nel procedere lento, tra una pausa e l’altra, ma non temono di avanzare insieme a quel loro parlare tra parole che sorreggono e che scaldano il cuore.
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Quando ero un ragazzino, se si rompeva la bicicletta, andavo dal Sig. Bellicchi.
Quando ero molto piccolo, …insomma appena dopo le rotelle, mi aveva insegnato lui a montare la catena, quando cadeva.
Brutta cosa trovarsi a Frassinara, in mezzo alla carraia tra canali di rane e girini con la catena giù. Ma il Sig. Bellicchi, con pazienza, mi aveva insegnato come fare e anche quella situazione non mi preoccupava più.
Per me il Sig. Bellicchi è stato, per tanto tempo, per tutto quello che ha dedicato alla professione da meccanico e anche oltre, un personaggio mitico.
Era un uomo piccolo e esile, la sua tuta blu, da meccanico, ovviamente, sembrava poterlo contenere almeno 2 volte. …
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Mia nonna materna si chiamava Bruna, ci ha lasciati che aveva 99 anni. Amava mangiare una mela ogni giorno. Le piaceva pelarla e dividerla a fette, era un rito che assecondava il proverbio. Era una donna semplice, una tazza di latte caldo al mattino e un pezzo di pane erano sufficienti per renderla felice. Probabilmente aveva un netto ricordo di quando queste cose erano un prezioso lusso. Mangio la mela con la stessa ritualità e mi ricordo di te cara nonna Bruna.
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Vivo in un condominio da quando sono nato. In fondo, amo anche i palazzi, anche se, da fuori, possono sembrare brutti e grigi. Dietro quelle finestre, tra un piano e l’altro, ci sono pur sempre i colori della vita.
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è bello quando la luce confonde gli oggetti.
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la cosa più grave, per noi, è aver dimenticato, trascurato, il tempo della terra.
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Non ho mai seguito il calcio, non mi ha mai appassionato. Da ragazzino ero uno di quelli che restavano in difesa, con l’indicazione precisa di “spazzare via” il pallone, nel caso si fosse trovato a portata di tiro, senza usare nessuna tecnica, senza tentare nessun gioco di piedi. Allo stadio sono stato 3 volte, a Parma, per vedere i crociati, ma quell’anno, il 1982, mi appassionai tantissimo ai Mondiali di Spagna e a quella Nazionale vestita d’azzurro, che vinse sospinta da una crescente onda di entusiasmo. Una vera squadra, finalmente. Ricordo tutti i Gol e i volti segnati dalla straripante felicità dei giocatori che li segnarono. E tra questi, ricordo lui, Pablito. Ciao Paolo Rossi, uomo e giocatore dal nome comune, mi dispiace tanto leggere che oggi non ci sei più. Mi avevi emozionato e di questo ti sarò sempre grato.
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